TRIBUNALE DI TORINO Terza Sezione penale Il Tribunale di Torino, in composizione monocratica, in persona del dott. Andrea Natale; Visti gli atti del procedimento penale in atto nei confronti di I. F. O. nato in ... il ... soggetto ad obbligo di presentazione alla PG - Presente, gia' presente, con domicilio eletto presso il difensore, difeso di fiducia dall'avv. Davide Gamba del foro di Torino, imputato del delitto p.p. dagli articoli 56, 628, comma 2 del codice penale perche' adoperava violenza e minaccia strattonando violentemente G. J. titolare del negozio di articoli casalinghi sito in ..., immediatamente dopo aver tentato di sottrarre due power bank del valore di 40 euro, al fine di assicurarsi il possesso della merce sottratta (che aveva occultato nella sua borsa a tracolla) e l'impunita'. Con la recidiva reiterata specifica ed infraquinquennale ex art. 99, comma IV. In Torino il 20 settembre 2019. All'esito dell'udienza in Camera di consiglio dell'8 ottobre 2019 ha pronunciato la seguente ordinanza. 1. Il procedimento a quo. L'imputato e' stato presentato al Tribunale per la convalida dell'arresto e il contestuale giudizio direttissimo con un addebito di rapina impropria. Il Tribunale ha convalidato l'arresto e disposto nei confronti dell'imputato la misura cautelare dell'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria (qualificando il fatto come tentata rapina impropria). Il pubblico ministero d'udienza ha dunque modificato l'originaria imputazione, condividendo la qualificazione del fatto come tentativo di rapina impropria e ha formalizzato l'imputazione nei termini riportati in rubrica, contestandola all'imputato presente. E' stata altresi' contestata nei confronti dell'imputato la recidiva reiterata specifica e infraquinquennale. Successivamente alla convalida dell'arresto, l'imputato ha chiesto il termine a difesa previsto dall'art. 558, comma 7, del codice di procedura penale alla successiva udienza, il difensore e procuratore speciale dell'imputato ha chiesto di procedere nelle forme del giudizio abbreviato. Ammesso il rito ed acquisito il fascicolo del pubblico ministero ed esaurita la discussione, il pubblico ministero ha sollecitato la condanna dell'imputato al minimo della pena, con la concessione delle circostanze attenuanti generiche equivalenti alla recidiva contestata; la difesa ha pregiudizialmente sollecitato il Tribunale a valutare la legittimita' costituzionale del regime sanzionatorio comminato dal legislatore per la fattispecie in contestazione; in subordine ha formalizzato conclusioni unicamente in punto pena. Il Tribunale, prima di pronunciarsi sul merito del giudizio, ritiene necessario sospendere il procedimento e rimettere alla valutazione della Corte costituzionale la questione di legittimita' costituzionale del trattamento sanzionatorio comminato dal legislatore per la fattispecie in contestazione. 2. Rilevanza della questione nel giudizio a quo. Prima di dare conto delle ragioni per cui il Tribunale ritiene la questione non manifestamente infondata, e' necessario dare conto della rilevanza della questione. 2.1. La ricostruzione del fatto. Come anticipato, il Tribunale procede nei confronti del sig. I. F. O. per il reato di tentata rapina impropria. I fatti sono ricostruiti in termini collimanti tra loro nel verbale di arresto e nelle sommarie informazioni testimoniali rese dalla persona offesa G. J. La persona offesa - il sig. G. J. - gestisce un negozio di vendita di articoli casalinghi. Intorno alle 15,45 circa del 20 settembre, un uomo - poi identificato nella persona dell'imputato - entra in negozio e comincia ad aggirarsi tra gli scaffali. G. J. sospetta che l'uomo sia responsabile di furti avvenuti in precedenza e decide pertanto di monitorarne la condotta con particolare attenzione; in tal modo, G. J. constata che I. ha prelevato da uno scaffale due dispositivi per ricaricare i cellulari (c.d. power bank), li ha infilati nello zaino che ha con se'. Nel seguito della vicenda, I. prova ad allontanarsi dal negozio senza pagare la merce; sennonche', G. lo segue fuori dal negozio e sollecita - coadiuvato dalla moglie - la restituzione del maltolto. Per tutta risposta, I. «spintona violentemente» la persona offesa; quest'ultima con l'auto della moglie, riusciva a recuperare la refurtiva, mentre I .riesce a guadagnare la fuga (salvo essere inseguito, raggiunto ed arrestato dalla pattuglia di polizia che, transitando nei pressi, aveva notato la scena). Dallo spintone non sono conseguiti esiti lesivi. Durante l'udienza di convalida dell'arresto, l'imputato ha ammesso di aver tentato di sottrarre i due dispositivi power bank, negando invece di aver usato violenza contro la persona offesa. E' da evidenziare che il Tribunale non ravvisa motivi per ritenere che G. J. abbia riferito il falso o che abbia un qualche motivo di interesse a calunniare I. accusandolo di un reato piu' grave di quello effettivamente commesso. Nemmeno la difesa tecnica, del resto, contesta la corretta ricostruzione del fatto. Il tentativo di sottrazione e' efficacemente descritto dalla persona offesa G. e confessato dallo stesso imputato. L'uso di violenza e' rappresentato dal violento spintone che l'imputato avrebbe indirizzato alla persona offesa. E' non controverso che uno «spintone» sia sussumibile nel concetto di «violenza». Per giurisprudenza consolidata, per violenza deve intendersi qualsiasi manomissione dell'altrui persona, qualificabile quantomeno come percossa, rilevante ai sensi dell'art. 581 del codice penale. In giurisprudenza il dato e' non controverso e la spinta e' stata ripetutamente qualificata come atto violento [in materia di rapina impropria in supermercato, cfr. tra le molte, Sez. 2, n. 14901 del 19 marzo 2015 - dep. 10 aprile 2015, D'Agostino, Rv. 26330701; Sez. 2, n. 3366 del 18 dicembre 2012 - dep. 23 gennaio 2013, Fadda Mereu, Rv. 25519901]. I fatti cosi' sinteticamente ricostruiti sono qualificabili secondo la consolidata giurisprudenza di legittimita' come tentativo di rapina impropria [per tutte: «E' configurabile il tentativo di rapina impropria nel caso in cui l'agente, dopo aver compiuto atti idonei alla sottrazione della cosa altrui, non portati a compimento per cause indipendenti dalla propria volonta', adoperi violenza o minaccia per assicurarsi l'impunita'». (Sez. U., n. 34952 del 19 aprile 2012 - dep. 12 settembre 2012, Reina, Rv. 25315301)]. 2.2. Il regime sanzionatorio applicabile nel giudizio a quo. A seguito delle modifiche apportate all'art. 628 del codice penale con legge 26 aprile 2019, n. 36, per la fattispecie in contestazione, la cornice edittale [gia' considerata la fattispecie tentata] e' compresa tra anni uno e mesi otto di reclusione ed euro 309 di multa come pena minima e anni sei e mesi otto di reclusione ed euro 1666 di multa come pena massima. Come si dira' nel paragrafo che segue, il Tribunale dubita della legittimita' costituzionale del trattamento sanzionatorio comminato dal legislatore. Si ritiene pero' utile evidenziare che - nel caso in esame, ove si addivenisse ad una pronuncia di condanna - la rigidita' della cornice edittale di riferimento non potrebbe trovare una mitigazione in concreto nemmeno per l'effetto di circostanze attenuanti eventualmente ravvisabili nel caso di specie. Il Tribunale rileva che, nel caso di specie, e' forse possibile ritenere la sussistenza delle circostanze attenuanti generiche (avendo l'imputato ammesso almeno una parte dell'addebito) e dell'attenuante di cui all'art. 62, n. 4 del codice penale (essendo di speciale tenuita' il profitto patrimoniale che l'imputato avrebbe conseguito realizzando il reato progettato: sottrazione di beni per un valore di 40 euro). Tuttavia, anche ove riconosciute, le predette circostanze attenuanti non avrebbero alcun effetto concreto sulla pena da irrogare in concreto a I. considerato che nei suoi confronti e' contestata una recidiva reiterata che pone un vincolo al giudizio di bilanciamento tra circostanze di segno eterogeneo. Al riguardo va evidenziato che il Tribunale ha gia' rilevato in sede cautelare che nei confronti del sig. I. e' formulabile una prognosi negativa in ordine al pericolo di recidivanza specifica (sul rilievo che egli e' gia' stato condannato per furto - consumato o tentato, variamente circostanziato - negli anni 2007-2008-2010-2012-2018 e per rapina impropria nel 2016; occorre altresi' rilevare l'esistenza di ripetute esperienze detentive - l'ultima delle quali terminata a luglio 2018 - che non hanno esercitato alcun monito sulla condotta di I. ). Cio' porta a dover prendere atto del fatto che nei confronti del sig. I. sia formulabile un giudizio di maggiore pericolosita' e - preso atto dell'assenza di effetto deterrente delle precedenti esperienze - di maggiore colpevolezza dell'imputato. In tale quadro e' del tutto improbabile che il Tribunale possa escludere gli effetti della recidiva contestata all'imputato, cosi' superando il vincolo al bilanciamento introdotto dall'art. 69, ultimo comma, c.p. Da cio' consegue che il rigore della cornice edittale - e dunque della pena comminata in astratto dal legislatore - non puo' trovare mitigazione in concreto per effetto di circostanze attenuanti che, pure, ricorrerebbero nel caso di specie. 3. Non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale. Occorre a questo punto mettere in evidenza che il Tribunale ritiene che l'irrogazione di una pena minima di anni uno e mesi otto di reclusione ed euro 309 di multa per la tentata sottrazione di beni del valore di 40 euro, seguita da un uso di modesta violenza (un'unica spinta, priva di conseguenze lesive) entri in frizione con vari principi costituzionali. Il Tribunale non ignora che la consolidata giurisprudenza costituzionale «ha sempre avuto cura di salvaguardare gli spazi spettanti alle valutazioni di politica criminale del legislatore relative alla congruenza fra i reati e le pene (...), riservandosi di intervenire solo a fronte di determinazioni palesemente arbitrarie di quest'ultimo, cioe' in caso di sperequazioni punitive di tale gravita' da risultare radicalmente ingiustificate (...), anche alla luce dei canoni di razionalita' (...) e di ragionevolezza (...)» [cosi' - esprimendo una giurisprudenza consolidata - Corte costituzionale sentenza n. 179 del 2017, considerato in diritto 4.2]. Il Tribunale ritiene tuttavia che regime sanzionatorio previsto dal legislatore per la rapina impropria (anche nella forma del delitto tentato) sia non ragionevole e conduca all'irrogazione di trattamenti sanzionatori potenzialmente sproporzionati rispetto alla concreta gravita' dei fatti e, pertanto, anche contrastanti con il principio rieducativo costituzionalmente connesso all'irrogazione della sanzione penale. Analoga questione e' gia' stata sollevata da altro giudice di questo Tribunale con riferimento alla rapina impropria consumata [Tribunale di Torino, ordinanza del 9 maggio 2019, n. 130/2019 registro ordinanze, in Gazzetta Ufficiale n. 37 del 2019]. Da un punto di vista logico e strutturale, i termini della questione di legittimita' costituzionale non sono diversi e, pertanto, si ripercorreranno molti passaggi argomentativi della questione gia' sollevata con l'ordinanza sopra citata. La necessaria premessa del ragionamento e' scolpita in modo netto da Tribunale di Torino, ordinanza 9 maggio 2019, cit.: «E' noto che da sin da epoca remota la dottrina dubita della ragionevolezza della stessa esistenza del delitto di rapina impropria come figura autonoma di "reato complesso" (art. 84 c.p.) che si sostituisce ai reati di furto e violenza privata. Ha suscitato critiche, in particolare, l'identita' di trattamento sanzionatorio per due fattispecie - la rapina propria e quella impropria - che sia nella coscienza comune, sia nell'analisi criminologica, sono avvertite come assai diverse tra loro, e connotate da differenti gradi di disvalore. Queste perplessita' sono oggi accresciute dal recente inasprimento del trattamento sanzionatorio introdotto con la legge n. 103 del 23 giugno 2017, la quale ha portato il minimo edittale della pena detentiva di cui all'art. 628, comma 1 del codice penale ad anni quattro di reclusione, ma nulla ha innovato per quanto concerne il comma 2 e l'"effetto di trascinamento" che esso prevede». Rispetto al tempo in cui il Tribunale ha emesso l'ordinanza appena citata, il trattamento sanzionatorio e' stato ulteriormente inasprito, con l'innalzamento della pena minima edittale ad anni cinque di reclusione, oltre alla multa (per effetto della legge n. 36 del 2019). Poste tali premesse e' il caso di passare all'esame dei profili di non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale che si intende qui sollevare (e che non si puo' fare a meno di sollevare, ritenendosi non corretta la prassi della c.d. sospensione impropria del processo, in attesa della decisione della Consulta sulla questione di legittimita' costituzionale gia' sollevata dal Tribunale di Torino; prassi che sarebbe ancor meno corretta in un procedimento - come il presente - con imputato soggetto a misura coercitiva). a) Contrasto con l'art. 3, comma 1, Cost.: violazione del principio di ragionevolezza c.d estrinseca; violazione del principio di eguaglianza, inteso come necessita' di trattamento differenziato per situazioni differenti: la rapina propria rispetto alla rapina impropria. Nella piu' volte citata ordinanza 9 maggio 2019, il Tribunale di Torino aveva argomentato il profilo di possibile illegittimita' costituzionale in termini che sono qui pienamente condivisi. Condividendone le scansioni argomentative, per completezza espositiva, si riporta qui il testo della questione gia' dedotta da altro giudice di questo Tribunale: «La violazione del principio di uguaglianza puo' essere bene apprezzata ove si considerino i diversi modi in cui puo' atteggiarsi il rapporto tra l'aggressione al patrimonio (=sottrazione di cosa mobile altrui) e l'aggressione alla persona (=violenza o minaccia): al comma 1 dell'art. 628 del codice penale (rapina propria) la legge prevede, e punisce con pene giustamente severe, la situazione in cui la violenza precede la sottrazione della cosa altrui: il rigore del legislatore e' qui pienamente giustificato perche' colpisce un soggetto che ha dolosamente premeditato, come strumento fondamentale della sua azione delittuosa, l'aggressione all'incolumita' fisica altrui. Il delitto di rapina propria si connota dunque, quanto all'elemento oggettivo, per il ruolo fondamentale, centrale, primario dell'aggressione alla persona, la quale costituisce il primo approccio dell'agente alla vittima; quanto all'atteggiamento psicologico si connota per un allarmante atteggiamento della volonta', che non esita a progettare l'uso della violenza alla persona a fini patrimoniali.; nel comma 2 la situazione di fatto e' profondamente diversa: qui l'agente ha deciso di perseguire la finalita' di illecito arricchimento in maniera non violenta, ma per cosi' dire, clandestina ("furtiva", appunto); l'uso della violenza o minaccia, scartato come prima opzione, si verifica quando, immediatamente dopo la sottrazione, il ladro viene scoperto (sia il fine di assicurare il possesso della refurtiva, sia quello di conseguire l'impunita', presuppongono necessariamente che taluno si sia accorto della condotta furtiva in atto): ecco allora che l'uso della violenza o minaccia, escluso in prima istanza dall'agente, viene per cosi dire innescato dalla reazione della vittima o di terzi che intervengano in suo ausilio (per lo piu', ma non necessariamente, la forza pubblica): a quel punto puo' succedere che la tensione istintiva alla liberta' induca a condotte violente che in origine si erano volute evitare. In sintesi, il fatto che la violenza segua alla sottrazione, e non la preceda, non sembra poter essere considerato irrilevante dal punto di vista criminologico: esso demarca una diversa e meno grave struttura oggettiva del reato e un diverso atteggiamento soggettivo quanto a intensita' del dolo e capacita' a delinquere. Ad avviso di chi scrive, pertanto, la piena equiparazione delle due situazioni sul piano della "risposta" dell'ordinamento penale costituisce una parificazione arbitraria, che non tiene conto del diverso disvalore delle due condotte esaminate». [cosi' Tribunale di Torino, ordinanza 9 maggio 2019, n. 130 del 2019, reg. ord.]. E' solo il caso di evidenziare che - essendo qui denunciata una (ritenuta) irragionevole parificazione di trattamento per situazioni (ritenute) differenti - i termini della questione proposta non mutano per il fatto che la' si discuteva di delitto consumato e qua di delitto tentato. b) Contrasto con l'art. 3, comma 1, Cost.: violazione del principio di ragionevolezza c.d. estrinseca; violazione del principio di eguaglianza, inteso come necessita' di trattamento omogeneo di situazioni simili: la rapina impropria rispetto alla sottrazione seguita da violenza esercitata non immediatamente dopo la sottrazione Anche sotto tale profilo, la questione di legittimita' costituzionale che si intende qui sottoporre all'attenzione della Corte costituzionale e' gia' stata lucidamente sviluppata da altro giudice di questo Tribunale nell'ordinanza 9 maggio 2019. Anche in questo caso - condividendone i contenuti - si riportano i passaggi argomentativi rilevanti in relazione a tale parametro di legittimita' costituzionale: «la disposizione dell'art. 628, comma 2 del codice penale, oltre ad equiparare ingiustamente situazioni di fatto diverse, rivela una ulteriore disparita' di trattamento laddove la situazione dell'autore di una rapina impropria - cioe' colui che usa violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione - sia raffrontata con quella di chi commetta dapprima un furto e poi, dopo un tempo apprezzabile, usi violenza per conservare la cosa sottratta e/o conseguire l'impunita': e' il caso, comune nella prassi, del ladro d'auto che, guidando l'auto da lui rubata qualche ora prima, forzi un posto di blocco. In quest'ultimo caso la contestazione del reato di rapina e' assolutamente preclusa perche' manca la successione immediata fra sottrazione e violenza, e il reo si vedra' contestare i meno gravi delitti di furto e resistenza a P.U. La differenza tra le due situazioni risiede unicamente in un problematico elemento temporale: nel primo caso la violenza e' esercitata "immediatamente dopo" la sottrazione, nel secondo e' commessa dopo il trascorrere di un tempo piu' lungo. La prassi giudiziaria mostra cosi' continue discussioni tra difesa e accusa, rispettivamente impegnate a dimostrare la lunghezza di un certo intervallo temporale ovvero, al contrario, la sua brevita' (o - in alternativa - che quell'intervallo sia stato occupato da un continuo inseguimento). Ad avviso di chi scrive occorre invece affrontare una questione diversa: e' ragionevole la disparita' di trattamento dell'autore di un furto a seconda che egli - ceteris paribus - usi violenza immediatamente dopo la sottrazione ovvero a distanza di un maggior tempo da essa? Che differenza v'e' tra la condotta del ladro di una bicicletta che si divincoli dal proprietario intervenuto subito dopo la sottrazione, e quella del medesimo ladro che si divincoli nello stesso modo essendosi casualmente imbattuto nel proprietario qualche ora dopo? Il diverso trattamento giuridico rispecchia una reale differenza - sul piano criminologico o, se si vuole, assiologico - tra le due situazioni di fatto? Chi scrive ha cercato, nella produzione dottrinale e giurisprudenziale, una riflessione che tenti di spiegare in qualche modo la maggior gravita' - postulata dal legislatore - della prima ipotesi rispetto alla seconda; ma si e' trattato di ricerca vana, a cominciare dal fondamentale trattato del Manzini. Pare a questo giudice che la maggiore o minore distanza cronologica tra la sottrazione e l'uso della violenza sia un aspetto totalmente irrilevante sotto il profilo della gravita' della condotta: in entrambi i casi si hanno un attacco al patrimonio e un attacco alla persona di eguale gravita' sia sul piano oggettivo che soggettivo. La disposizione dell'art. 628, comma 2 del codice penale sembra dunque in contrasto con l'art. 3 Cost. anche perche' tratta in maniera diversa situazioni di fatto che sul piano della condotta, del dolo, del pregiudizio alle vittime e di ogni altro aspetto penalmente significativo sono identiche. Questa lamentata disparita' di trattamento sancita dall'art. 628, comma 2 del codice penale, in raffronto con la disciplina applicabile quando la violenza non segue immediatamente alla sottrazione, concerne aspetti normativi che a loro volta involgono principi di natura costituzionale, e si traduce percio' nella lesione di altri principi costituzionali fondamentali». [cosi' Tribunale di Torino, ordinanza 9 maggio 2019, n. 130 del 2019, reg. ord.]. E' solo il caso di evidenziare che - essendo qui denunciata una (ritenuta) irragionevole differenziazione di trattamento per situazioni (ritenute) analoghe - i termini della questione proposta non mutano per il fatto che la' si discuteva di delitto consumato e qua di delitto tentato. c) Violazione dell'art. 3 Cost., in relazione all'art. 25 e all'art. 27, comma 3, Cost.: violazione del principio di ragionevolezza c.d. intrinseca (o di necessaria proporzionalita') della sanzione penale a gravita' del fatto di reato e alla colpevolezza dell'autore del reato; violazione dell'art. 117, comma 1, Cost. in relazione all'art. 49 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea; E' ben vero che non appartengono alla Corte costituzionale «valutazioni discrezionali di dosimetria sanzionatoria penale, risultando, queste, tipicamente spettanti alla rappresentanza politica, chiamata attraverso la riserva di legge sancita nell'art. 25 Cost. a stabilire il grado di reazione dell'ordinamento al cospetto di una lesione a un determinato bene giuridico» [cosi' Corte costituzionale, sentenza n. 236 del 2016, considerato in diritto n. 4.4]. E' altrettanto vero, pero', che «laddove emergano sintomi di manifesta irragionevolezza, per sproporzione, di un trattamento sanzionatorio, e l'intervento della Corte costituzionale sia invocato, a fini di giustizia, dai giudici a quibus, questo e' possibile, al ricorrere di determinate condizioni»[cosi' Corte costituzionale, sentenza n. 236 del 2016, considerato in diritto n. 4.4]. E' stato inoltre affermato nella giurisprudenza costituzionale che «i principi di ragionevolezza e proporzionalita' [sono] garantiti dagli articoli 3 e 27 Cost., oltre che dall'art. 49, paragrafo 3, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e dall'art. 3 della Convenzione dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali» [Corte costituzionale, sentenze n. 236 del 2016, considerato in diritto 4.2. e n. 179 del 2017, considerato in diritto n. 6]. Al riguardo e' sufficiente richiamare - per illustrare i parametri costituzionali che si ritengono qui violati - le considerazioni svolte dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 236 del 2016. Pur nella diversita' del caso trattato rispetto a quello qua in esame, identici sono i riferimenti ai principi costituzionali che vengono in gioco, e' allora sufficiente rilevare che la Corte costituzionale - nella citata sentenza (al considerato in diritto n. 4.2. e ivi ulteriori riferimenti alla giurisprudenza costituzionale) - ha rilevato: (i) che «l'art. 3 Cost. esige che la pena sia proporzionata al disvalore del fatto illecito commesso, in modo che il sistema sanzionatorio adempia nel contempo alla funzione di difesa sociale ed a quella di tutela delle posizioni individuali»; (ii) che il principio di proporzionalita' [evocato dalla Corte anche con riferimento alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, art. 49, numero 3], nel campo del diritto penale, conduce a «negare legittimita' alle incriminazioni che, anche se presumibilmente idonee a raggiungere finalita' statuali di prevenzione, producono, attraverso la pena, danni all'individuo (ai suoi diritti fondamentali) ed alla societa' sproporzionatamente maggiori dei vantaggi ottenuti (o da ottenere) da quest'ultima con la tutela dei beni e valori offesi dalle predette incriminazioni»; (iii) che «il principio di proporzionalita' esige un'articolazione legale del sistema sanzionatorio che renda possibile l'adeguamento della pena alle effettive responsabilita' personali, svolgendo una funzione di giustizia, e anche di tutela delle posizioni individuali e di limite della potesta' punitiva statale, in armonia con il "volto costituzionale" del sistema penale»; (iv) che il principio della finalita' rieducativa della pena richiede «un costante principio di proporzione tra qualita' e quantita' della sanzione, da una parte, e offesa, dall'altra»; (v) che la palese sproporzione del sacrificio della liberta' personale produce «una vanificazione del fine rieducativo della pena prescritto dall'art. 27, terzo comma, della Costituzione, che di quella liberta' costituisce una garanzia istituzionale in relazione allo stato di detenzione». Il Tribunale ritiene che la risposta sanzionatoria che il legislatore intende dare agli episodi di rapina impropria - tentata o consumata che sia - sia una risposta manifestamente sproporzionata (in eccesso) e conduca, per tale ragione, all'irrogazione di pene talmente elevate da risultare in concreto sproporzionate rispetto alla gravita' del fatto commesso e all'offesa recata al bene giuridico protetto dalla norma penale (con violazione del principio di offensivita' tutelato dagli articoli 3 e 25, comma 2, Cost.) e in concreto contrarie al principio rieducativo costituzionalmente connesso alla sanzione penale (articoli 3 e 27, comma 3, Cost.). Il difetto di proporzione - ove ritenuto sussistente - rileva anche come profilo di contrasto con l'art. 49 CDFUE (con conseguente violazione dell'art. 117, comma 1, Cost.). L'esperienza giudiziaria insegna che, spesso, le rapine improprie (tentate o consumate) consistono in banali episodi di taccheggio, seguiti da goffi tentativi di fuga, connotati da un modesto esercizio di violenza. Cosi' e' avvenuto nel caso di specie: un grossolano tentativo di furto (immediatamente «scoperto» e costantemente monitorato dal detentore del bene) di un oggetto di modestissimo valore (40 euro) e' stato seguito da un uso modico di violenza (una spinta), priva di conseguenze lesive (e di intensita' che la persona offesa definisce «violenta», ma che tanto intensa non puo' essere stata, ove si pensi che la persona offesa nemmeno e' caduta per terra). Una simile condotta - che mette a modestissimo repentaglio l'altrui patrimonio e in modesto pericolo l'altrui incolumita' personale - riceve una risposta sanzionatoria da parte del legislatore di estremo e sproporzionato rigore: anni uno e mesi otto di reclusione e 309 euro di multa come pena minima edittale (sanzione minima edittale che appare manifestamente sproporzionata ove si pensi alle pene che sarebbero irrogabili in caso di scissione del reato complesso e di condanna per il delitto di tentato furto e di violenza privata). Sotto tale profilo, la piu' volte citata ordinanza di questo Tribunale aveva condivisibilmente osservato che «la disposizione di cui all'art. 628, comma 2 del codice penale (...) si caratterizza per una vistosa indifferenza rispetto alle caratteristiche concrete del fatto». Il discorso e' sviluppabile in termini analoghi anche per la fattispecie tentata. In altri termini, qualunque sottrazione (o tentativo di sottrazione), di qualsivoglia bene, quando sia immediatamente seguita da violenza o minaccia, ancorche' lievi, riceve una risposta sanzionatoria di estremo rigore (pena minima di anni uno e mesi otto di reclusione, oltre alla multa per la tentata rapina impropria; anni cinque di reclusione oltre alla multa per la rapina impropria consumata). Tutte le particolarita' del fatto rischiano di essere «azzerate, e non v'e' piu' differenza, ad esempio, se la violenza segue al furto di una costosa autovettura commesso con effrazione sulla pubblica via, ovvero segue al furto semplice di due bottiglie di liquore in un supermercato. La disposizione in esame, in altre parole, si rivela una disposizione "rozza" in cui tutto viene sacrificato sull'altare della "esemplarita'" sanzionatoria» [cosi' Tribunale di Torino, ordinanza 9 maggio 2019, n. 130 del 2019, reg. ord.]. Una risposta sanzionatoria di simile rigore, comporta pertanto una possibile sproporzione tra l'entita' della pena da irrogare e il grado di lesione ai beni giuridici protetti dall'ordinamento penale (patrimonio e incolumita' personale); tale sproporzione non sempre e' sanabile nella fase di concretizzazione e personalizzazione della sanzione (e nel caso del presente giudizio la sproporzione non e' in concreto sanabile, in ragione del vincolo al bilanciamento tra circostanze eterogenee derivante dalla condizione di persona recidiva reiterata). Con la conseguenza che le istanze di general-prevenzione rischiano di sopraffare - oltre ogni possibilita' di adeguamento della sanzione al caso concreto - la finalita' rieducativa della pena, che «implica un costante "principio di proporzione" tra qualita' e quantita' della sanzione, da una parte, e offesa, dall'altra». 4. Il petitum. La giurisprudenza costituzionale rileva che «in tema di trattamento sanzionatorio penale, e' consentito emendare le scelte del legislatore ritenute confliggenti con il dettato costituzionale, ricorrendo "a grandezze gia' rinvenibili nell'ordinamento"» [cosi', tra le altre, Corte costituzionale n. 148 del 2016, n. 236 del 2016, n. 40 del 2019]. Il Tribunale ritiene che i profili di illegittimita' costituzionale sopra dedotti (tanto quelli relativi alla ritenuta violazione del principio di necessaria ragionevolezza estrinseca, quanto quelli relativi alla ritenuta violazione del principio di ragionevolezza intrinseca, sotto il profilo della manifesta sproporzione tra sanzione e grado di offesa, in contrasto con la finalita' rieducativa) possano essere rimossi ricorrendo a grandezze gia' rinvenibili nell'ordinamento. In linea con la questione di legittimita' costituzionale sollevata dal Tribunale di Torino con la piu' volte citata ordinanza 9 maggio 2019, si ritiene che la rimozione dei profili di illegittimita' costituzionale qui prospettati sia possibile attraverso la semplice declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art. 628, comma 2, c.p. La declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art. 628, comma 2, codice penale fara' venir meno il reato complesso e comportera' la sussunzione degli stessi fatti storici nel perimetro applicativo delle fattispecie di reato che sono elementi costitutivi del reato complesso di rapina impropria (tentata o consumata che sia). E, cosi', le condotte ora ricondotte alla rapina impropria saranno sussumibili nelle fattispecie di furto (consumato o tentato) e di violenza privata (o resistenza a pubblico ufficiale, a seconda del fatto storico che viene in rilievo). Le predette fattispecie di reato consentiranno di valorizzare con concretezza i singoli elementi in maggiore aderenza al fatto storico; con riferimento all'aggressione patrimoniale, potranno venire in rilievo tutti gli aspetti circostanziali che sono considerati dall'art. 625 c.p., e che, viceversa sfuggono alla considerazione dell'art. 628 codice penale; con riferimento all'aggressione all'incolumita' personale e alla sfera di liberta' morale della persona offesa, invece, la risposta sanzionatoria potra' essere opportunamente modulata all'interno della cornice edittale dell'art. 610 codice penale (da quindici giorni a quattro anni di reclusione) o - ove il destinatario della violenza o minaccia sia un pubblico ufficiale - all'interno della cornice edittale dell'art. 337 c.p. Ove si nutrano poi timori per le istanze general-preventive connesse alla sanzione penale, si osserva che una corretta applicazione dell'art. 133 codice penale e dell'art. 81 codice penale consentira' comunque di offrire una risposta sanzionatoria adeguata, senza con cio' sacrificare in modo sproporzionato i diritti di liberta' della persona giudicata. Si segnala che l'imputato e' soggetto alla misura cautelare coercitiva dell'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.