TRIBUNALE DI TORINO 
                        Terza Sezione penale 
 
    Il Tribunale di Torino, in composizione monocratica,  in  persona
del dott. Andrea Natale; 
    Visti gli atti del procedimento penale in atto nei  confronti  di
I. F. O. nato in ... il ... soggetto ad obbligo di presentazione alla
PG  -  Presente,  gia'  presente,  con  domicilio  eletto  presso  il
difensore, difeso di fiducia  dall'avv.  Davide  Gamba  del  foro  di
Torino, imputato del delitto p.p. dagli articoli 56, 628, comma 2 del
codice penale perche'  adoperava  violenza  e  minaccia  strattonando
violentemente G. J. titolare del negozio di articoli casalinghi  sito
in ..., immediatamente dopo aver tentato di sottrarre due power  bank
del valore di 40 euro, al fine di assicurarsi il possesso della merce
sottratta  (che  aveva  occultato  nella  sua  borsa  a  tracolla)  e
l'impunita'. 
    Con la recidiva reiterata specifica ed infraquinquennale ex  art.
99, comma IV. In Torino il 20 settembre 2019. 
    All'esito dell'udienza in Camera di consiglio dell'8 ottobre 2019
ha pronunciato la seguente ordinanza. 
1. Il procedimento a quo. 
    L'imputato e' stato presentato  al  Tribunale  per  la  convalida
dell'arresto e il contestuale giudizio direttissimo con  un  addebito
di rapina impropria. 
    Il Tribunale ha convalidato l'arresto e  disposto  nei  confronti
dell'imputato la misura cautelare dell'obbligo di presentazione  alla
polizia  giudiziaria  (qualificando  il  fatto  come  tentata  rapina
impropria). 
    Il pubblico ministero d'udienza ha dunque modificato l'originaria
imputazione, condividendo la qualificazione del fatto come  tentativo
di rapina impropria  e  ha  formalizzato  l'imputazione  nei  termini
riportati in rubrica, contestandola all'imputato presente.  E'  stata
altresi' contestata nei confronti dell'imputato la recidiva reiterata
specifica e infraquinquennale. 
    Successivamente  alla  convalida  dell'arresto,   l'imputato   ha
chiesto il termine a difesa previsto  dall'art.  558,  comma  7,  del
codice di procedura penale alla successiva udienza,  il  difensore  e
procuratore speciale dell'imputato  ha  chiesto  di  procedere  nelle
forme del giudizio abbreviato. 
    Ammesso il rito ed acquisito il fascicolo del pubblico  ministero
ed esaurita la discussione, il pubblico ministero ha  sollecitato  la
condanna dell'imputato al minimo della pena, con la concessione delle
circostanze   attenuanti   generiche   equivalenti   alla    recidiva
contestata; la difesa ha pregiudizialmente sollecitato il Tribunale a
valutare la  legittimita'  costituzionale  del  regime  sanzionatorio
comminato dal legislatore per la  fattispecie  in  contestazione;  in
subordine ha formalizzato conclusioni unicamente in punto pena. 
    Il Tribunale, prima di  pronunciarsi  sul  merito  del  giudizio,
ritiene  necessario  sospendere  il  procedimento  e  rimettere  alla
valutazione della Corte costituzionale la questione  di  legittimita'
costituzionale   del   trattamento   sanzionatorio   comminato    dal
legislatore per la fattispecie in contestazione. 
2. Rilevanza della questione nel giudizio a quo. 
    Prima di dare conto delle ragioni per cui il Tribunale ritiene la
questione non manifestamente  infondata,  e'  necessario  dare  conto
della rilevanza della questione. 
2.1. La ricostruzione del fatto. 
    Come anticipato, il Tribunale procede nei confronti del  sig.  I.
F. O. per  il  reato  di  tentata  rapina  impropria.  I  fatti  sono
ricostruiti in termini collimanti tra loro nel verbale di  arresto  e
nelle sommarie informazioni testimoniali rese dalla persona offesa G.
J. 
    La persona offesa - il sig.  G.  J.  -  gestisce  un  negozio  di
vendita di articoli casalinghi.  Intorno  alle  15,45  circa  del  20
settembre, un uomo - poi identificato nella persona  dell'imputato  -
entra in negozio e comincia ad aggirarsi  tra  gli  scaffali.  G.  J.
sospetta che l'uomo sia responsabile di furti avvenuti in  precedenza
e  decide  pertanto  di  monitorarne  la  condotta  con   particolare
attenzione; in tal modo, G. J. constata che I. ha  prelevato  da  uno
scaffale due dispositivi  per  ricaricare  i  cellulari  (c.d.  power
bank), li ha infilati nello zaino che ha con se'. Nel  seguito  della
vicenda, I. prova ad allontanarsi dal negozio senza pagare la  merce;
sennonche', G. lo segue fuori dal negozio e  sollecita  -  coadiuvato
dalla moglie - la restituzione del maltolto. 
    Per  tutta  risposta,  I.  «spintona  violentemente»  la  persona
offesa; quest'ultima con l'auto della moglie, riusciva  a  recuperare
la refurtiva, mentre I .riesce a guadagnare  la  fuga  (salvo  essere
inseguito, raggiunto ed arrestato dalla  pattuglia  di  polizia  che,
transitando nei pressi, aveva notato la scena). 
    Dallo spintone non sono conseguiti esiti lesivi. 
    Durante  l'udienza  di  convalida  dell'arresto,  l'imputato   ha
ammesso di aver tentato di sottrarre i due  dispositivi  power  bank,
negando invece di aver usato violenza contro la persona offesa. 
    E' da  evidenziare  che  il  Tribunale  non  ravvisa  motivi  per
ritenere che G. J. abbia riferito il falso o  che  abbia  un  qualche
motivo di interesse a calunniare I.  accusandolo  di  un  reato  piu'
grave di quello effettivamente commesso. Nemmeno la  difesa  tecnica,
del resto, contesta la corretta ricostruzione del fatto. 
    Il tentativo di  sottrazione  e'  efficacemente  descritto  dalla
persona offesa G. e confessato dallo stesso imputato. 
    L'uso di violenza e'  rappresentato  dal  violento  spintone  che
l'imputato  avrebbe  indirizzato  alla   persona   offesa.   E'   non
controverso che  uno  «spintone»  sia  sussumibile  nel  concetto  di
«violenza».  Per  giurisprudenza  consolidata,  per   violenza   deve
intendersi qualsiasi manomissione dell'altrui persona,  qualificabile
quantomeno come percossa, rilevante ai sensi dell'art. 581 del codice
penale. In giurisprudenza il dato e' non controverso e la  spinta  e'
stata ripetutamente qualificata come atto  violento  [in  materia  di
rapina impropria in supermercato, cfr. tra le molte, Sez. 2, n. 14901
del 19 marzo 2015 - dep. 10 aprile 2015,  D'Agostino,  Rv.  26330701;
Sez. 2, n. 3366 del 18 dicembre 2012 - dep. 23  gennaio  2013,  Fadda
Mereu, Rv. 25519901]. 
    I  fatti  cosi'  sinteticamente  ricostruiti  sono  qualificabili
secondo la consolidata giurisprudenza di legittimita' come  tentativo
di rapina impropria [per tutte: «E'  configurabile  il  tentativo  di
rapina impropria nel caso in cui l'agente, dopo  aver  compiuto  atti
idonei alla sottrazione della cosa altrui, non portati  a  compimento
per cause indipendenti dalla propria  volonta',  adoperi  violenza  o
minaccia per assicurarsi l'impunita'». (Sez.  U.,  n.  34952  del  19
aprile 2012 - dep. 12 settembre 2012, Reina, Rv. 25315301)]. 
2.2. Il regime sanzionatorio applicabile nel giudizio a quo. 
    A seguito delle  modifiche  apportate  all'art.  628  del  codice
penale con legge 26  aprile  2019,  n.  36,  per  la  fattispecie  in
contestazione, la cornice edittale [gia' considerata  la  fattispecie
tentata] e' compresa tra anni uno e mesi otto di reclusione  ed  euro
309 di multa come pena minima e anni sei e mesi otto di reclusione ed
euro 1666 di multa come pena massima. 
    Come si dira' nel paragrafo che segue, il Tribunale dubita  della
legittimita' costituzionale del trattamento  sanzionatorio  comminato
dal legislatore. 
    Si ritiene pero' utile evidenziare che - nel caso in  esame,  ove
si addivenisse ad una pronuncia di  condanna  -  la  rigidita'  della
cornice edittale di riferimento non potrebbe trovare una  mitigazione
in  concreto  nemmeno  per  l'effetto   di   circostanze   attenuanti
eventualmente ravvisabili nel caso di specie. 
    Il Tribunale rileva che, nel caso di specie, e'  forse  possibile
ritenere  la  sussistenza  delle  circostanze  attenuanti   generiche
(avendo  l'imputato  ammesso  almeno  una  parte   dell'addebito)   e
dell'attenuante di cui all'art. 62, n. 4 del codice  penale  (essendo
di speciale tenuita' il profitto patrimoniale che l'imputato  avrebbe
conseguito realizzando il reato progettato: sottrazione di  beni  per
un valore di 40 euro). 
    Tuttavia,  anche  ove  riconosciute,  le   predette   circostanze
attenuanti  non  avrebbero  alcun  effetto  concreto  sulla  pena  da
irrogare in concreto a I.  considerato  che  nei  suoi  confronti  e'
contestata una recidiva reiterata che pone un vincolo al giudizio  di
bilanciamento tra circostanze di segno eterogeneo. 
    Al riguardo va evidenziato che il Tribunale ha gia'  rilevato  in
sede cautelare che nei confronti  del  sig.  I.  e'  formulabile  una
prognosi negativa in ordine al pericolo di recidivanza specifica (sul
rilievo che egli e' gia' stato condannato per  furto  -  consumato  o
tentato,     variamente     circostanziato     -      negli      anni
2007-2008-2010-2012-2018 e per rapina  impropria  nel  2016;  occorre
altresi' rilevare l'esistenza  di  ripetute  esperienze  detentive  -
l'ultima delle  quali  terminata  a  luglio  2018  -  che  non  hanno
esercitato alcun monito sulla condotta di I. ). Cio'  porta  a  dover
prendere atto del fatto che nei confronti del sig. I. sia formulabile
un giudizio di maggiore pericolosita' e - preso atto dell'assenza  di
effetto  deterrente  delle  precedenti  esperienze  -   di   maggiore
colpevolezza dell'imputato. 
    In tale quadro e' del tutto improbabile che  il  Tribunale  possa
escludere gli effetti della recidiva contestata  all'imputato,  cosi'
superando il vincolo al bilanciamento introdotto dall'art. 69, ultimo
comma, c.p. 
    Da cio' consegue che il rigore della cornice edittale - e  dunque
della pena comminata in astratto dal legislatore - non  puo'  trovare
mitigazione in concreto per effetto di  circostanze  attenuanti  che,
pure, ricorrerebbero nel caso di specie. 
3.  Non  manifesta  infondatezza  della  questione  di   legittimita'
costituzionale. 
    Occorre a questo punto  mettere  in  evidenza  che  il  Tribunale
ritiene che l'irrogazione di una pena minima di anni uno e mesi  otto
di reclusione ed euro 309 di multa per la tentata sottrazione di beni
del valore di  40  euro,  seguita  da  un  uso  di  modesta  violenza
(un'unica spinta, priva di conseguenze lesive) entri in frizione  con
vari principi costituzionali. 
    Il  Tribunale  non  ignora  che  la  consolidata   giurisprudenza
costituzionale «ha sempre  avuto  cura  di  salvaguardare  gli  spazi
spettanti alle valutazioni  di  politica  criminale  del  legislatore
relative alla congruenza fra i reati e le pene (...), riservandosi di
intervenire solo a fronte di determinazioni palesemente arbitrarie di
quest'ultimo,  cioe'  in  caso  di  sperequazioni  punitive  di  tale
gravita' da risultare radicalmente ingiustificate (...),  anche  alla
luce dei canoni di razionalita'  (...)  e  di  ragionevolezza  (...)»
[cosi'  -  esprimendo  una   giurisprudenza   consolidata   -   Corte
costituzionale sentenza n. 179 del 2017, considerato in diritto 4.2]. 
    Il Tribunale ritiene tuttavia che regime  sanzionatorio  previsto
dal legislatore per  la  rapina  impropria  (anche  nella  forma  del
delitto tentato) sia non ragionevole  e  conduca  all'irrogazione  di
trattamenti sanzionatori potenzialmente sproporzionati rispetto  alla
concreta gravita' dei fatti e, pertanto, anche  contrastanti  con  il
principio  rieducativo  costituzionalmente  connesso  all'irrogazione
della sanzione penale. 
    Analoga questione e' gia' stata sollevata  da  altro  giudice  di
questo Tribunale con  riferimento  alla  rapina  impropria  consumata
[Tribunale di Torino,  ordinanza  del  9  maggio  2019,  n.  130/2019
registro ordinanze, in Gazzetta Ufficiale n. 37 del 2019]. 
    Da un punto di  vista  logico  e  strutturale,  i  termini  della
questione  di  legittimita'  costituzionale  non  sono   diversi   e,
pertanto,  si  ripercorreranno  molti  passaggi  argomentativi  della
questione gia' sollevata con l'ordinanza sopra citata. 
    La necessaria premessa del ragionamento e' scolpita in modo netto
da Tribunale di Torino, ordinanza 9 maggio 2019, cit.: 
        «E' noto che da sin da epoca remota la dottrina dubita  della
ragionevolezza della stessa esistenza del delitto di rapina impropria
come figura autonoma di "reato  complesso"  (art.  84  c.p.)  che  si
sostituisce ai reati di furto e violenza privata. 
        Ha  suscitato  critiche,  in  particolare,   l'identita'   di
trattamento sanzionatorio per due fattispecie - la rapina  propria  e
quella impropria - che sia nella coscienza comune,  sia  nell'analisi
criminologica,  sono  avvertite  come  assai  diverse  tra  loro,   e
connotate da differenti gradi di disvalore. 
        Queste  perplessita'  sono  oggi  accresciute   dal   recente
inasprimento del trattamento sanzionatorio introdotto con la legge n.
103 del 23 giugno 2017, la quale ha portato il minimo edittale  della
pena detentiva di cui all'art. 628, comma 1 del codice penale ad anni
quattro di reclusione, ma nulla ha innovato per  quanto  concerne  il
comma 2 e l'"effetto di trascinamento" che esso prevede». 
    Rispetto al tempo in  cui  il  Tribunale  ha  emesso  l'ordinanza
appena citata, il trattamento sanzionatorio  e'  stato  ulteriormente
inasprito, con l'innalzamento della  pena  minima  edittale  ad  anni
cinque di reclusione, oltre alla multa (per effetto della legge n. 36
del 2019). 
    Poste tali premesse e' il caso di passare all'esame  dei  profili
di  non  manifesta  infondatezza  della  questione  di   legittimita'
costituzionale che si intende qui sollevare (e che non si puo' fare a
meno di sollevare, ritenendosi non  corretta  la  prassi  della  c.d.
sospensione impropria del processo, in attesa della  decisione  della
Consulta  sulla  questione  di   legittimita'   costituzionale   gia'
sollevata dal Tribunale di Torino;  prassi  che  sarebbe  ancor  meno
corretta in un  procedimento  -  come  il  presente  -  con  imputato
soggetto a misura coercitiva). 
a) Contrasto con l'art. 3, comma 1, Cost.: violazione  del  principio
di  ragionevolezza  c.d  estrinseca;  violazione  del  principio   di
eguaglianza, inteso come necessita' di trattamento differenziato  per
situazioni  differenti:  la  rapina  propria  rispetto  alla   rapina
impropria. 
    Nella piu' volte citata ordinanza 9 maggio 2019, il Tribunale  di
Torino aveva  argomentato  il  profilo  di  possibile  illegittimita'
costituzionale in termini che sono qui pienamente condivisi. 
    Condividendone  le  scansioni  argomentative,   per   completezza
espositiva, si riporta qui il testo della questione gia'  dedotta  da
altro giudice di questo Tribunale: 
        «La violazione del principio di uguaglianza puo' essere  bene
apprezzata ove si considerino i diversi modi in cui puo'  atteggiarsi
il rapporto tra l'aggressione al  patrimonio  (=sottrazione  di  cosa
mobile altrui) e l'aggressione alla persona (=violenza o minaccia): 
          al comma 1 dell'art. 628 del codice penale (rapina propria)
la  legge  prevede,  e  punisce  con  pene  giustamente  severe,   la
situazione in cui la  violenza  precede  la  sottrazione  della  cosa
altrui: il rigore del  legislatore  e'  qui  pienamente  giustificato
perche' colpisce un soggetto che  ha  dolosamente  premeditato,  come
strumento fondamentale della  sua  azione  delittuosa,  l'aggressione
all'incolumita' fisica  altrui.  Il  delitto  di  rapina  propria  si
connota  dunque,  quanto  all'elemento  oggettivo,   per   il   ruolo
fondamentale, centrale, primario dell'aggressione  alla  persona,  la
quale costituisce il primo approccio dell'agente alla vittima; quanto
all'atteggiamento  psicologico   si   connota   per   un   allarmante
atteggiamento della volonta', che non esita a progettare l'uso  della
violenza alla persona a fini patrimoniali.; 
          nel  comma  2  la  situazione  di  fatto  e'  profondamente
diversa: qui  l'agente  ha  deciso  di  perseguire  la  finalita'  di
illecito arricchimento in maniera non violenta, ma  per  cosi'  dire,
clandestina ("furtiva", appunto); l'uso della  violenza  o  minaccia,
scartato come prima opzione, si verifica quando, immediatamente  dopo
la sottrazione, il ladro viene scoperto (sia il fine di assicurare il
possesso della  refurtiva,  sia  quello  di  conseguire  l'impunita',
presuppongono  necessariamente  che  taluno  si  sia  accorto   della
condotta furtiva in atto): ecco allora che  l'uso  della  violenza  o
minaccia, escluso in prima istanza dall'agente, viene per  cosi  dire
innescato dalla reazione della vittima o di terzi che intervengano in
suo ausilio (per lo piu', ma non necessariamente, la forza pubblica):
a quel punto puo' succedere che la tensione istintiva  alla  liberta'
induca a condotte violente che in origine si erano volute evitare. 
        In sintesi, il fatto che la violenza segua alla  sottrazione,
e non la preceda, non sembra poter essere considerato irrilevante dal
punto di vista criminologico: esso demarca una diversa e  meno  grave
struttura oggettiva del reato e un diverso  atteggiamento  soggettivo
quanto a intensita' del dolo e capacita' a delinquere. Ad  avviso  di
chi scrive, pertanto, la piena equiparazione delle due situazioni sul
piano  della  "risposta"  dell'ordinamento  penale  costituisce   una
parificazione arbitraria, che non tiene conto del  diverso  disvalore
delle due condotte esaminate». 
[cosi' Tribunale di Torino, ordinanza 9 maggio 2019, n. 130 del 2019,
reg. ord.]. 
    E' solo il caso di evidenziare che - essendo qui  denunciata  una
(ritenuta) irragionevole parificazione di trattamento per  situazioni
(ritenute) differenti - i termini della questione proposta non mutano
per il fatto che la' si discuteva  di  delitto  consumato  e  qua  di
delitto tentato. 
b) Contrasto con l'art. 3, comma 1, Cost.: violazione  del  principio
di  ragionevolezza  c.d.  estrinseca;  violazione  del  principio  di
eguaglianza,  inteso  come  necessita'  di  trattamento  omogeneo  di
situazioni simili: la  rapina  impropria  rispetto  alla  sottrazione
seguita da violenza esercitata non immediatamente dopo la sottrazione 
    Anche  sotto  tale  profilo,   la   questione   di   legittimita'
costituzionale che si intende  qui  sottoporre  all'attenzione  della
Corte costituzionale e' gia' stata lucidamente  sviluppata  da  altro
giudice di questo Tribunale nell'ordinanza 9 maggio  2019.  Anche  in
questo caso - condividendone i contenuti - si  riportano  i  passaggi
argomentativi rilevanti in relazione a tale parametro di legittimita'
costituzionale: 
        «la disposizione dell'art. 628, comma 2  del  codice  penale,
oltre ad equiparare ingiustamente situazioni di fatto diverse, rivela
una  ulteriore  disparita'  di  trattamento  laddove  la   situazione
dell'autore di una rapina impropria - cioe' colui che usa violenza  o
minaccia immediatamente dopo la sottrazione  -  sia  raffrontata  con
quella di chi commetta  dapprima  un  furto  e  poi,  dopo  un  tempo
apprezzabile, usi violenza  per  conservare  la  cosa  sottratta  e/o
conseguire l'impunita': e' il caso, comune nella  prassi,  del  ladro
d'auto che, guidando l'auto da lui rubata qualche ora prima, forzi un
posto di blocco. In quest'ultimo caso la contestazione del  reato  di
rapina  e'  assolutamente  preclusa  perche'  manca  la   successione
immediata fra sottrazione e violenza, e il reo si vedra' contestare i
meno gravi delitti di furto e resistenza a P.U. 
        La differenza tra le due situazioni risiede unicamente in  un
problematico elemento  temporale:  nel  primo  caso  la  violenza  e'
esercitata "immediatamente  dopo"  la  sottrazione,  nel  secondo  e'
commessa dopo il trascorrere  di  un  tempo  piu'  lungo.  La  prassi
giudiziaria mostra cosi' continue discussioni tra  difesa  e  accusa,
rispettivamente impegnate a  dimostrare  la  lunghezza  di  un  certo
intervallo temporale ovvero, al contrario, la sua brevita'  (o  -  in
alternativa - che quell'intervallo sia stato occupato da un  continuo
inseguimento). 
        Ad  avviso  di  chi  scrive  occorre  invece  affrontare  una
questione  diversa:  e'  ragionevole  la  disparita'  di  trattamento
dell'autore di un furto a seconda che egli - ceteris  paribus  -  usi
violenza immediatamente dopo la sottrazione ovvero a distanza  di  un
maggior tempo da essa? Che differenza v'e' tra la condotta del  ladro
di una bicicletta  che  si  divincoli  dal  proprietario  intervenuto
subito dopo la sottrazione,  e  quella  del  medesimo  ladro  che  si
divincoli nello  stesso  modo  essendosi  casualmente  imbattuto  nel
proprietario qualche  ora  dopo?  Il  diverso  trattamento  giuridico
rispecchia una reale differenza - sul piano criminologico  o,  se  si
vuole, assiologico - tra le due situazioni di fatto? 
        Chi  scrive  ha  cercato,  nella  produzione   dottrinale   e
giurisprudenziale, una riflessione che tenti di spiegare  in  qualche
modo la maggior gravita' - postulata dal legislatore  -  della  prima
ipotesi rispetto alla seconda; ma si e' trattato di ricerca  vana,  a
cominciare dal fondamentale  trattato  del  Manzini.  Pare  a  questo
giudice  che  la  maggiore  o  minore  distanza  cronologica  tra  la
sottrazione  e  l'uso  della  violenza  sia  un  aspetto   totalmente
irrilevante sotto  il  profilo  della  gravita'  della  condotta:  in
entrambi i casi si hanno un attacco al patrimonio e un  attacco  alla
persona di eguale gravita' sia sul piano oggettivo che soggettivo. 
          La disposizione dell'art. 628, comma 2  del  codice  penale
sembra dunque in contrasto con l'art. 3 Cost. anche perche' tratta in
maniera diversa situazioni di fatto che sul piano della condotta, del
dolo, del pregiudizio alle vittime e di ogni altro aspetto penalmente
significativo sono identiche. 
        Questa lamentata disparita' di trattamento sancita  dall'art.
628, comma 2 del  codice  penale,  in  raffronto  con  la  disciplina
applicabile  quando  la  violenza  non  segue   immediatamente   alla
sottrazione, concerne aspetti normativi che a  loro  volta  involgono
principi di natura costituzionale, e si traduce percio' nella lesione
di altri principi costituzionali fondamentali». 
[cosi' Tribunale di Torino, ordinanza 9 maggio 2019, n. 130 del 2019,
reg. ord.]. 
    E' solo il caso di evidenziare che - essendo qui  denunciata  una
(ritenuta)  irragionevole   differenziazione   di   trattamento   per
situazioni (ritenute) analoghe - i termini della  questione  proposta
non mutano per il fatto che la' si discuteva di delitto  consumato  e
qua di delitto tentato. 
c) Violazione dell'art. 3 Cost., in relazione all'art. 25 e  all'art.
27, comma 3, Cost.: violazione del principio di  ragionevolezza  c.d.
intrinseca (o di necessaria proporzionalita') della sanzione penale a
gravita' del fatto di  reato  e  alla  colpevolezza  dell'autore  del
reato; violazione dell'art. 117, comma 1, Cost. in relazione all'art.
49 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea; 
    E' ben  vero  che  non  appartengono  alla  Corte  costituzionale
«valutazioni  discrezionali  di  dosimetria   sanzionatoria   penale,
risultando,  queste,  tipicamente   spettanti   alla   rappresentanza
politica, chiamata attraverso la riserva di legge  sancita  nell'art.
25 Cost.  a  stabilire  il  grado  di  reazione  dell'ordinamento  al
cospetto di una lesione a un determinato bene giuridico» [cosi' Corte
costituzionale, sentenza n. 236 del 2016, considerato in  diritto  n.
4.4]. 
    E' altrettanto vero, pero',  che  «laddove  emergano  sintomi  di
manifesta  irragionevolezza,  per  sproporzione,  di  un  trattamento
sanzionatorio,  e  l'intervento  della   Corte   costituzionale   sia
invocato, a fini di  giustizia,  dai  giudici  a  quibus,  questo  e'
possibile,  al  ricorrere  di  determinate  condizioni»[cosi'   Corte
costituzionale, sentenza n. 236 del 2016, considerato in  diritto  n.
4.4]. 
    E' stato inoltre affermato  nella  giurisprudenza  costituzionale
che «i principi di ragionevolezza e proporzionalita' [sono] garantiti
dagli articoli 3 e 27 Cost., oltre che  dall'art.  49,  paragrafo  3,
della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e  dall'art.
3  della  Convenzione  dei  diritti  dell'uomo   e   delle   liberta'
fondamentali»  [Corte  costituzionale,  sentenze  n.  236  del  2016,
considerato in diritto 4.2. e n. 179 del 2017, considerato in diritto
n. 6]. 
    Al  riguardo  e'  sufficiente  richiamare  -  per  illustrare   i
parametri  costituzionali  che  si  ritengono  qui   violati   -   le
considerazioni svolte dalla Corte costituzionale  nella  sentenza  n.
236 del 2016. Pur nella  diversita'  del  caso  trattato  rispetto  a
quello  qua  in  esame,  identici  sono  i  riferimenti  ai  principi
costituzionali che vengono in gioco, e' allora  sufficiente  rilevare
che la Corte costituzionale - nella citata sentenza  (al  considerato
in diritto n. 4.2. e ivi ulteriori  riferimenti  alla  giurisprudenza
costituzionale) - ha rilevato: 
        (i) che «l'art. 3 Cost. esige che la pena  sia  proporzionata
al disvalore del fatto illecito commesso,  in  modo  che  il  sistema
sanzionatorio adempia nel contempo alla funzione di difesa sociale ed
a quella di tutela delle posizioni individuali»; 
        (ii) che il  principio  di  proporzionalita'  [evocato  dalla
Corte anche con  riferimento  alla  Carta  dei  diritti  fondamentali
dell'Unione europea, art.  49,  numero  3],  nel  campo  del  diritto
penale, conduce a «negare legittimita' alle incriminazioni che, anche
se  presumibilmente  idonee  a  raggiungere  finalita'  statuali   di
prevenzione, producono, attraverso la pena, danni  all'individuo  (ai
suoi  diritti  fondamentali)  ed  alla  societa'  sproporzionatamente
maggiori dei vantaggi ottenuti (o da ottenere) da quest'ultima con la
tutela dei beni e valori offesi dalle predette incriminazioni»; 
        (iii)   che   «il   principio   di   proporzionalita'   esige
un'articolazione legale del sistema sanzionatorio che renda possibile
l'adeguamento della pena alle  effettive  responsabilita'  personali,
svolgendo  una  funzione  di  giustizia,  e  anche  di  tutela  delle
posizioni individuali e di limite della potesta' punitiva statale, in
armonia con il "volto costituzionale" del sistema penale»; 
        (iv) che il principio della finalita' rieducativa della  pena
richiede  «un  costante  principio  di  proporzione  tra  qualita'  e
quantita' della sanzione, da una parte, e offesa, dall'altra»; 
        (v) che la palese sproporzione del sacrificio della  liberta'
personale produce «una vanificazione del fine rieducativo della  pena
prescritto dall'art. 27, terzo  comma,  della  Costituzione,  che  di
quella liberta' costituisce una garanzia istituzionale  in  relazione
allo stato di detenzione». 
    Il  Tribunale  ritiene  che  la  risposta  sanzionatoria  che  il
legislatore intende dare agli episodi di rapina impropria - tentata o
consumata che sia - sia una  risposta  manifestamente  sproporzionata
(in eccesso) e conduca, per tale  ragione,  all'irrogazione  di  pene
talmente elevate da risultare  in  concreto  sproporzionate  rispetto
alla  gravita'  del  fatto  commesso  e  all'offesa  recata  al  bene
giuridico protetto dalla norma penale (con violazione  del  principio
di offensivita' tutelato dagli articoli 3 e 25, comma 2, Cost.) e  in
concreto  contrarie  al  principio   rieducativo   costituzionalmente
connesso alla sanzione penale (articoli 3 e 27, comma 3,  Cost.).  Il
difetto di proporzione - ove ritenuto sussistente - rileva anche come
profilo di contrasto con l'art. 49 CDFUE (con conseguente  violazione
dell'art. 117, comma 1, Cost.). 
    L'esperienza giudiziaria insegna che, spesso, le rapine improprie
(tentate o consumate) consistono in  banali  episodi  di  taccheggio,
seguiti da goffi tentativi di fuga, connotati da un modesto esercizio
di violenza. 
    Cosi' e' avvenuto nel caso di specie: un grossolano tentativo  di
furto  (immediatamente  «scoperto»  e  costantemente  monitorato  dal
detentore del bene) di un oggetto di modestissimo valore (40 euro) e'
stato seguito da un uso modico di violenza  (una  spinta),  priva  di
conseguenze lesive (e di intensita' che la persona  offesa  definisce
«violenta», ma che tanto intensa non puo' essere stata, ove si  pensi
che la persona offesa nemmeno e' caduta per terra). 
    Una simile  condotta  -  che  mette  a  modestissimo  repentaglio
l'altrui  patrimonio  e  in  modesto  pericolo  l'altrui  incolumita'
personale  -  riceve  una  risposta  sanzionatoria   da   parte   del
legislatore di estremo e sproporzionato rigore: anni uno e mesi  otto
di reclusione e 309 euro di multa come pena minima edittale (sanzione
minima edittale che appare manifestamente sproporzionata ove si pensi
alle pene che sarebbero irrogabili in caso  di  scissione  del  reato
complesso e di condanna per il delitto di tentato furto e di violenza
privata). 
    Sotto tale profilo, la piu'  volte  citata  ordinanza  di  questo
Tribunale aveva condivisibilmente osservato che «la  disposizione  di
cui all'art. 628, comma 2 del codice penale (...) si caratterizza per
una vistosa indifferenza rispetto alle caratteristiche  concrete  del
fatto». Il discorso e' sviluppabile in termini analoghi anche per  la
fattispecie tentata. 
    In  altri  termini,  qualunque  sottrazione   (o   tentativo   di
sottrazione), di qualsivoglia bene, quando sia immediatamente seguita
da  violenza  o  minaccia,  ancorche'  lievi,  riceve  una   risposta
sanzionatoria di estremo rigore (pena minima di anni uno e mesi  otto
di reclusione, oltre alla multa per la tentata rapina impropria; anni
cinque di  reclusione  oltre  alla  multa  per  la  rapina  impropria
consumata). Tutte le particolarita' del  fatto  rischiano  di  essere
«azzerate, e non v'e' piu' differenza, ad  esempio,  se  la  violenza
segue al furto di una costosa  autovettura  commesso  con  effrazione
sulla pubblica via, ovvero segue al furto semplice di  due  bottiglie
di liquore in un supermercato. La disposizione  in  esame,  in  altre
parole, si  rivela  una  disposizione  "rozza"  in  cui  tutto  viene
sacrificato sull'altare della  "esemplarita'"  sanzionatoria»  [cosi'
Tribunale di Torino, ordinanza 9 maggio 2019, n. 130 del  2019,  reg.
ord.]. 
    Una risposta sanzionatoria di simile  rigore,  comporta  pertanto
una possibile sproporzione tra l'entita' della pena da irrogare e  il
grado di lesione ai beni giuridici protetti  dall'ordinamento  penale
(patrimonio e incolumita' personale); tale sproporzione non sempre e'
sanabile nella fase di  concretizzazione  e  personalizzazione  della
sanzione (e nel caso del presente giudizio la sproporzione non e'  in
concreto sanabile,  in  ragione  del  vincolo  al  bilanciamento  tra
circostanze eterogenee derivante dalla condizione di persona recidiva
reiterata). 
    Con  la  conseguenza  che  le  istanze   di   general-prevenzione
rischiano di sopraffare -  oltre  ogni  possibilita'  di  adeguamento
della sanzione al caso concreto  -  la  finalita'  rieducativa  della
pena,  che  «implica  un  costante  "principio  di  proporzione"  tra
qualita'  e  quantita'  della  sanzione,  da  una  parte,  e  offesa,
dall'altra». 
4. Il petitum. 
    La  giurisprudenza  costituzionale  rileva  che   «in   tema   di
trattamento sanzionatorio penale, e' consentito  emendare  le  scelte
del legislatore ritenute confliggenti con il dettato  costituzionale,
ricorrendo "a grandezze gia' rinvenibili  nell'ordinamento"»  [cosi',
tra le altre, Corte costituzionale n. 148 del 2016, n. 236 del  2016,
n. 40 del 2019]. 
    Il  Tribunale   ritiene   che   i   profili   di   illegittimita'
costituzionale sopra dedotti (tanto  quelli  relativi  alla  ritenuta
violazione del principio  di  necessaria  ragionevolezza  estrinseca,
quanto quelli relativi alla  ritenuta  violazione  del  principio  di
ragionevolezza  intrinseca,  sotto   il   profilo   della   manifesta
sproporzione tra sanzione e grado di  offesa,  in  contrasto  con  la
finalita' rieducativa) possano essere rimossi ricorrendo a  grandezze
gia' rinvenibili nell'ordinamento. 
    In  linea  con  la  questione  di   legittimita'   costituzionale
sollevata dal Tribunale di Torino con la piu' volte citata  ordinanza
9  maggio  2019,  si  ritiene  che  la  rimozione  dei   profili   di
illegittimita'   costituzionale   qui   prospettati   sia   possibile
attraverso la semplice declaratoria di illegittimita'  costituzionale
dell'art. 628, comma 2, c.p. 
    La declaratoria di illegittimita' costituzionale  dell'art.  628,
comma 2,  codice  penale  fara'  venir  meno  il  reato  complesso  e
comportera' la sussunzione degli stessi fatti storici  nel  perimetro
applicativo delle fattispecie di reato che sono elementi  costitutivi
del reato complesso di rapina  impropria  (tentata  o  consumata  che
sia). 
    E, cosi',  le  condotte  ora  ricondotte  alla  rapina  impropria
saranno sussumibili nelle fattispecie di furto (consumato o  tentato)
e di violenza privata (o resistenza a pubblico ufficiale,  a  seconda
del fatto storico che viene in rilievo). Le predette  fattispecie  di
reato consentiranno di valorizzare con concretezza i singoli elementi
in   maggiore   aderenza   al   fatto   storico;   con    riferimento
all'aggressione patrimoniale, potranno venire in  rilievo  tutti  gli
aspetti circostanziali che sono considerati  dall'art.  625  c.p.,  e
che, viceversa sfuggono  alla  considerazione  dell'art.  628  codice
penale; con riferimento all'aggressione all'incolumita'  personale  e
alla sfera di  liberta'  morale  della  persona  offesa,  invece,  la
risposta  sanzionatoria   potra'   essere   opportunamente   modulata
all'interno della cornice edittale dell'art. 610  codice  penale  (da
quindici giorni a quattro anni di reclusione) o - ove il destinatario
della violenza o minaccia sia un  pubblico  ufficiale  -  all'interno
della cornice edittale dell'art. 337 c.p. 
    Ove si nutrano  poi  timori  per  le  istanze  general-preventive
connesse  alla  sanzione  penale,  si  osserva   che   una   corretta
applicazione dell'art. 133 codice penale e dell'art. 81 codice penale
consentira' comunque di offrire una risposta sanzionatoria  adeguata,
senza con cio'  sacrificare  in  modo  sproporzionato  i  diritti  di
liberta' della persona giudicata. 
    Si segnala che  l'imputato  e'  soggetto  alla  misura  cautelare
coercitiva dell'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.